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BALCANI IN FIAMME

Storia Militare della guerra russa turca del 1877-1878.


In occidente al giorno d’oggi il conflitto tra Impero russo e Impero turco del 1877-78 viene presentato come un’appendice alla crisi Balcanica, non ricevendo, in tal modo, l’attenzione che merita. Tutto ciò è una grave svalutazione poiché, in effetti, la guerra russo-turca fu l’ultimo conflitto tra due maggiori potenze europee, antecedente alla prima guerra mondiale, coinvolgendo più di mezzo milione di soldati che si scontrarono su entrambe le sponde del Mar Nero (europea e asiatica). Parte di tale ingiusta considerazione è dovuta forse al fatto che all’epoca la guerra catturò sicuramente l’attenzione del mondo, più per le sue violenze arbitrarie che per il mero interesse militare. Centinaia di inviati dei paesi neutrali – giornalisti e osservatori militari – poterono vagare liberamente tra i campi di battaglia e villaggi distrutti ricostruendo, con preziose informazioni di prima mano, l’andamento delle campagne e le atrocità commesse da entrambe le parti in conflitto. Nonostante ciò gli stati maggiori europei prestarono scarsa attenzione alle lezioni che quella guerra stava rivelando, infatti erano troppo prevenuti percependola come un’oscura contesa tra una nazione umiliata dalla recente guerra di Crimea e un’altra ormai in completo disfacimento. A ciò contribuì anche la guerra Franco-prussiana, di soli sette anni prima, che fu considerata l’apogeo della cultura militare europea di fine secolo e di inizio di quello successivo. Eppure la guerra russo-turca rivelò molte più analogie con i conflitti a venire che quella combattuta tra francesi e prussiani.














Questa in effetti anticipò molte delle soluzioni belliche della guerra russo-giapponese (1904-1905), permettendomi tra l’altro di completare il percorso di ricerca sull’evoluzione dell’esercito zarista tra le due guerre. In effetti il conflitto del 1877-1878 si inserisce perfettamente nel costante mutamento dell’arte militare, affermando in maniera ancor più convincente – dell’esperienza della guerra civile americana (1862-1865) e della guerra franco prussiana (1870-1871) – il connubio tra trinceramento, fortificazioni e armi a retrocarica. Confermando cosi che, in quegli anni, l’offensiva tattica diventava sempre più difficile da portare a termine con successo. Tali condizioni di guerra furono imposte dalla stessa strategia ottomana, che riconoscendo le difficoltà di affrontare in campo aperto un nemico meglio addestrato e più abile nella manovra, si manteneva per lo più all’interno di imponenti fortificazioni. Gli stillicidi imposti ai russi davanti a Plevna e in altre piazzeforti a sud del Danubio, come avremo modo di apprendere, mutarono la stessa impostazione tattica zarista. Furono proprio i fanti contadini e i comandanti sul campo a gettare le basi di quelle che dovevano essere le contromisure ad un tale tipo di combattimento. Attorno a Plevna nacque, in tal modo, la tattica “a catene” (in ordine sparso) che fu sempre più utilizzata nell’offensivsotto il fuoco ravvicinato, risultando uno dei modi più efficaci per superare la difesa nemica ad un costo di sangue “accettabile”. Al termine della guerra la Russia aveva dunque trovato soluzioni tattiche innovative che gli altri stati maggiori europei ancora non avevano affrontato. Tale bagaglio di esperienze fu poi introdotto nella guerra russo-giapponese allorché i russi, copiando e migliorando i loro ex-rivali ottomani, fecero della guerra di posizione, questa volta integrata con un maggior numero di micidiali mitragliatrici, il principio della loro tattica. Il massacro di Port Arthur fu quindi, indiscutibilmente, figlio delle battaglie attorno a Plevna. Il testo vuole infine evidenziare anche il fallimento della diplomazia. Se nelle pagine che seguiranno il lettore troverà una sequela infinita di note, trattati, negoziati e conferenze, si renderà presto conto che questi non porteranno a nessuna soluzione efficace. Forse la questione balcanica, più di ogni altra, dimostra tutti limiti della diplomazia ed è la triste prova clausewitziana che la guerra ne sia il suo naturale prosieguo. La Conferenza di Berlino, che doveva mettere un punto decisivo alle problematiche sui Balcani, non fu altro che una miccia che continuò a bruciare inesorabilmente fino alla Grande guerra.

 

"Ho incontrato per la prima volta il generale Skobelev quel giorno. Era in uno spaventoso stato di eccitazione e furia. La sua uniforme era ricoperta di fango e sporcizia; la sua spada spezzata; la Croce di San Giorgio attorcigliata sulla sua spalla; la sua faccia brunita di polvere e fuliggine; i suoi occhi erano neri e iniettati di sangue, e la sua voce completamente sparita. Parlava con un sussurro rauco. Non avevo mai visto un’immagine della battaglia meglio rappresentata."
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